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“Venga il tuo regno” (Lc 11,2)
Chi allora è questo re Cristo? La prima lettura, presa dal profeta Ezechiele, lo presenta come un buon pastore: “Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura... le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse… Le condurrò in ottime pasture… là riposeranno… Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quelle smarrita; fascerò quella ferita... Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare” (Ez 34,11-16). In Cristo Gesù Dio stesso si prende cura di noi con un amore infinito, di ognuno di noi! Perciò la festa di oggi ci riempie con una grande gioia giubilante; diciamo con il salmo: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare… mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome” (Sal 23,1-3). Cristo re è anche il giudice dei viventi e dei morti.... Nel brano del Vangelo che abbiamo appena sentito, Matteo ci fa quasi assistere al ultimo giudizio. Cristo, il figlio dell`uomo, siede sul trono della sua gloria, circondato dalle sue schiere di angeli: “E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,32-36). Nel’ultimo giudizio al quale nessuno può sfuggire, sarà valida solo la misura dell`amore: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me... ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me” (Mt 25,40.45). Di quello che avremmo fatto nella nostra vita rimarrà solo l’amore verso gli altri, sopratutto l’amore agli ultimi e ai più poveri... Le parole del Signore non lasciano nessun dubbio in questo riguardo. La pietra angolare del regno fondato da Cristo é l’amore per Dio e per il prossimo. 2. “Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?... il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,31-33). Chi vuole entrare nel regno di Dio, dice Cristo, deve prima cambiare la sua logica. Deve farsi plasmare dalla logica del Vangelo, dalla logica delle beatitudini: “In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio” (Gv 3,3). Queste parole rivolte a Nicodemo si riferiscono ad ognuno di noi. Essere rinati dall’alto vuol dire conversione del cuore, vuol dire il coraggio di contare sulla fede, vuol dire di fondare la propria vita del tutto su Dio. Non invano Gesù paragona il regno di Dio con un “tesoro nascosto” e una “perla di grande valore” (cfr. Mt 13,44-46). Chi li trovato vende tutto il suo possesso per comprare il campo nel quale è nascosto il tesoro o per comprare la perla. Il regno di Dio come obiettivo che ci viene mostrato attraverso la festa di Cristo re è una sfida continua per noi fedeli. Perché per lavorare per la crescita del regno di Dio e per entrare nella logica del regno di Dio, bisogna sforzarsi di entrare per la porta stretta; questo sono le scelte quotidiane contro corrente che negli occhi del mondo hanno come risultato perdita e svantaggio. Così è oggi, e così sarà sempre. Osiamo di prendere su di noi questa sfida? L’uomo postmoderno sembra temere il regno di Dio sul mondo, e non di rado lo respinge con forza. L’arroganza folle di un mondo senza Dio o addirittura contro Dio si diffonde sempre di più... Non si considera che un tale mondo inevitabilmente si trasforma in un mondo contro l’uomo. Il Concilio Vaticano II avverte: “La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce… Oggi la chiesa ci incoraggia di non avere paura del regno di Dio e di aprire le porte della nostra vita personale, delle nostre famiglie, di tutta la società largamente per Cristo e il suo Vangelo. Il signore stesso è il “tesoro nascosto”, la “perla preziosa” per la quale vale la pena di dare tutto. Quando oggi imploriamo Dio: “Venga il tuo regno!”, accettiamo l’invito della chiesa a essere nel mondo in cui viviamo, collaboratori e testimoni del regno di Dio. 3. Anche in questo tempo così dimentico di Dio non mancano uomini – uomini e donne, giovani e adulti – che si fanno prendere del tutto dalla bellezza del regno il quale Cristo ha fondato. Penso ai tanti carismi nella chiesa di oggi, evocati dallo spirito santo, dai quali é sbocciata un vero fiorire di movimenti ecclesiali e nuove comunità. Giovanni Paolo II riconosceva in essi un grande segno di speranza per la chiesa e per tutta l’umanità, e il Santo Padre Benedetto XVI identifica loro con il sopraggiungere permanente dello spirito che rinnova la vita della chiesa. Sono veri “laboratori” di una fede gioiosa piena di entusiasmo, laboratori dove tanti scoprono la bellezza di essere cristiani. Anche la comunità di Sant’Egidio che oggi ricorda il quarantesimo anniversario della sua nascita a Roma nel 1968, fa parte di tali associazioni nuovi. In quegli anni tempestivi tanti giovani si facevano sedurre da ideologie false e da simulacri tragici. Un piccolo gruppo di diciottenni sotto la guida del coetaneo Andrea Riccardi si riunì e decise a intraprendere un’altra strada, cioè puntavano sulla persona di Gesù Cristo e sulla forza della sua parola nel Vangelo. Su questa strada presto incontravano i poveri, quei fratelli più piccoli i quali il Signore ci raccomanda. Proprio in coloro che amiamo con meno facilità il Signore vuol essere amata da noi! Quanto è lontana la strada che avete percorsa da allora! Dal piccolo seme di senape è nata una comunità che è presente in più di ottanta paesi in tutti i continenti. Quanto impenetrabili sono le vie di Dio! Quanto dobbiamo ringraziare il Signore per i frutti che la comunità di Sant’Egidio ha dato in questi quarant’anni nella vita della chiesa, nella vita di innumerevoli persone e nel mondo. Guardiamo solamente le iniziative che si rivolgono ai poveri che portano il volto dell’espulso, degli anziani abbandonati, dei barboni, dei vagabondi, degli immigrati. Pensiamo all’impegno generoso per la promozione del dialogo ecumenico – nello spirito di Assisi – e del dialogo interreligioso nel mondo globalizzato e nelle società nei quali sempre di più le più diverse popolazioni e culture s’incontrano. Pensiamo all’impegno per la promozione della pace e della riconciliazione nei paesi che furono e sono lacerati da guerre civili. Un’altra dimensione molto significativa nella vita della comunità di Sant’Egidio spuntava attraverso la visita di Benedetto XVI nella chiesa di San Bartolomeo sull’isola tiberina che era allo stesso tempo il culmine delle celebrazioni romane per il quarantesimo. Il quella chiesa la comunità ha lo scopo a curare la memoria di tanti martiri del nostro tempo. E con i martiri di tutti i tempi ci ricordano che la discepolanza di Cristo comporta delle decisioni radicali e che spesso vuol dire – come accade con il Maestro – essere “segno di contradizione”. Questa è una lezione importante per noi tutti. In quell’occasione il Santo Padre congedando la comunità di Sant’Egidio le dava l’incarico: “L'esempio dei martiri, che abbiamo ricordato, continui a guidare i vostri passi, perché siate veri amici di Dio e autentici amici dell’umanità. E non temete le difficoltà e le sofferenze che questa azione missionaria comporta: rientrano nella “logica” della coraggiosa testimonianza dell’amore cristiano” (Discorso, 7 aprile 2008). Grazie per tutto quello che siete, e per quello che fate per la missione della chiesa in Germania! |
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