Martini e Delbrél, sguardi profetici

Sullo sfondo della crisi spirituale europea, a Torino l'incontro organizzato da Uelci tra il filosofo Cacciari e l'arcivescovo Paglia sul cardinale gesuita e la «più grande mistica del Novecento»

Un celebre biblista vuole capire come affrontare il tema "evangelizzazione e promozione umana", al centro del primo convegno ecclesiale tenutosi a Roma nel 1976. Lui conosce le Sacre Scritture come pochi, ma vuole fare esperienza della vita ai margini. La comunità di Sant'Egidio lo indirizza in un vicolo di Trastevere a casa di un vecchietto che vive solo. Il gesuita gli fa compagnia e lo aiuta nelle faccende domestiche, commentando le tirate anticlericali dell'anziano con un sornione "eh già`.
Un piccolo aneddoto che nella sua semplicità fa capire la statura di Carlo Maria Martini. Lo ha raccontato l'arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita, parlando ieri al Salone di Torino con il filosofo Massimo Cacciari dell'attualità del cardinale di Milano, piemontese di origine. E di un'altra figura chiave del secolo scorso, Madalein Delbrél, che lo stesso Martini definì «la più grande mistica» del Novecento», come ha ricordato in apertura Lorenzo Fazzini, responsabile editoriale di Lev nel saluto iniziale a nome dell'Uelci (Unione degli editori e librai cattolici), che ha organizzato l'incontro, moderato dal giornalista della Rai Matteo Spicuglia, con l'arcidiocesi di Torino.
Una donna che ha precorso il Concilio Vaticano II, ha sottolineato Paglia, fondando da laica una comunità basata sul Vangelo vissuto. Delbrél e Martini, le cui figure possono essere riassunte nell'immagine «il Vangelo e la città» - ha proseguito Paglia - hanno rappresentato «il filo rosso del cristianesimo che aiuta tutti in un secolo tra i più tragici della storia. E le condizioni per andare ancora peggio non mancano», ha proseguito Paglia con un riferimento alle attuali guerre. Diversamente da Delbrél (morta 60 anni fa, mentre Martini nasceva 110 anni fa) che ha vissuto tra gli operai comunisti nella periferia parigina degli anni '40 e '50, il gesuita ha vissuto il «dramma di un'Europa dell'indifferenza, della pura immanenza», ha detto Cacciari di fronte a un uditorio in cui sedeva anche Maris, la sorella di Martini. Un dramma che non traspariva all'esterno per la sua eleganza frutto di ascesi e di una elaborazione tipicamente gesuitica.
"Gesù piange sulla città" è una delle omelie del cardinale che Cacciari - a lungo interlocutore dell'arcivescovo di Milano che diede vita alla Cattedra dei non credenti - ricorda. Anche Martini, ha sottolineato Cacciari, piangeva, «con stile ed eleganza, ma piangeva per la difficoltà di far capire che l'atto di fede non si oppone alla ragione, ma ne è fermento». Così come la sua «utopia» è stata quella di indicare al continente la Bibbia come elemento di educazione di un'Europa chiusa «nell'indifferenza e nel puro mercantilismo», come «faro» della vita culturale e politica. Un vero «salto che ha sconvolto l'atteggiamento della Chiesa». Il filosofo ha indicato, dunque, come necessaria la presa di coscienza che l'Europa è «al cento per cento terra di missione, come ha capito l'attuale Papa, che quasi lo grida». Una scristianizzatone che - ha proseguito Cacciari - non va vista tanto nelle statistiche sul calo di frequenza della messa o delle vocazioni sacerdotali, ma è «culturale, antropologica».
Di «deserto», ha parlato Paglia, proseguendo il dialogo. Di «dittatura dell'io che ci ha ridotti a sabbia». Fenomeno che riguarda anche la Chiesa, ha rimarcato l'arcivescovo, nella quale va riscoperta la dimensione della profezia, sullo stile di Isaia, di una salvezza del popolo, di tutti, non è individuale. E mancano gesti simbolici in tal senso. «Non c'è nessuno che va in episcopio a depone la armi come fecero le Br con Martini, anzi vediamo vescovi e patriarchi che inneggiano alla guerra santa». Fede e ragione devono portare avanti una «nuova alleanza, che è indispensabile per dare un progetto a Europa e mondo».
Paglia ha poi indicato, sull'esempio del Samaritano, l'agape come dimensione di incontro con l'altro. Un farsi prossimo (come Delbrél) a chi non può darti nulla in cambio: poveri, carcerati, migranti. Cosa che oggi rigettiamo in nome di quell'individualismo che rende difficile anche «trovare punti di convergenza» di fronte alle guerre, perché ognuno pensa a sé e non agli ucraini martoriati, a chi è a Gaza e agli ostaggi israeliani, ha concluso Paglia.
L'alleanza fede-ragione, ha interagito Cacciari, non deve però essere «accomodante». Vangelo e filosofia devono porsi come «segno di contraddizione», per risvegliare le coscienze davanti all'«urgenza tremenda» del momento, «perché stiamo andando verso il precipizio guidati da sonnambuli. Serve un sussulto popolare, mentre il problema sembra essere solo come continuare ad armare i belligeranti». Ultimo riferimento, in particolare, è andato al conflitto in Medio Oriente, che, secondo il filosofo, «ha certificato che l'Onu non conta più niente», visto che non ha mandato forze di interposizione.

 

[ Gianni Santamaria ]