L'importanza dei progetti come Dream
In molti paesi africani oltre l'83 per cento delle persone con l'Hiv, circa 26 milioni, è in terapia. Specialisti e medici lanciano comunque l'allarme per un utilizzo più consapevole dei farmaci. Il programma Dream della Comunità di Sant'Egidio è presente in dieci stati africani con protocolli di cura per l'Aids ma anche per le malattie non trasmissibili
L'Aids-hiv continua a rappresentare una delle principali sfide sanitarie in Africa e nel mondo. Ci sono ancora quasi 40 milioni di persone con l'Hiv, circa 26 nell'Africa sub-sahariana. Il programma Dream (Disease Relief through Excellent and Advanced Means) della Comunità di Sant'Egidio è ormai presente in dieci stati africani con protocolli di cura per l'Aids ma anche per le malattie non trasmissibili, il cancro dell'utero e altre patologie, supportato da circa 30 laboratori di biologia molecolare e dalla telemedicina.
Il 24 gennaio scorso, alla presenza del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che ha introdotto i lavori assieme a Marco Impagliazzo presidente di Sant'Egidio, è stato tenuto al parlamento un importante convegno sulle cure per l'Aids in Africa alla presenza di ministri della Sanità africani e di molti direttori dei programmi africani di cura, per fare il punto della situazione e lanciare un allarme globale. Sebbene i tassi di nuove infezioni siano diminuiti del 42 per cento tra il 2010 e il 2022 e l'accesso ai farmaci antiretrovirali sia aumentato raggiungendo l'83 per cento delle persone con l'Hiv nell'Africa sub-sahariana, il numero assoluto di persone che vivono con l'Hiv è in crescita anno dopo anno.
Il 24 gennaio scorso, alla presenza del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che ha introdotto i lavori assieme a Marco Impagliazzo presidente di Sant'Egidio, è stato tenuto al parlamento un importante convegno sulle cure per l'Aids in Africa alla presenza di ministri della Sanità africani e di molti direttori dei programmi africani di cura, per fare il punto della situazione e lanciare un allarme globale. Sebbene i tassi di nuove infezioni siano diminuiti del 42 per cento tra il 2010 e il 2022 e l'accesso ai farmaci antiretrovirali sia aumentato raggiungendo l'83 per cento delle persone con l'Hiv nell'Africa sub-sahariana, il numero assoluto di persone che vivono con l'Hiv è in crescita anno dopo anno.
Riduzione della mortalità
Si tratta di un risultato ottenuto grazie alla riduzione della mortalità (molte persone con l'Hiv vivono più a lungo grazie ai progressi terapeutici) ma comporta un aumento del carico finanziario e gestionale. Di conseguenza la cura dell'Aids sta cominciando a essere percepita come un peso dalle amministrazioni sanitarie.
Sant'Egidio è stata tra le pochissime organizzazioni a porre l'attenzione sull'Aids in Africa al volgere del Millennio, quando nessuno se ne occupava. Fu denunciata la tendenza dei paesi ricchi: a pensare che all'Africa bastasse dare poco considerando gli africani impossibilitati e anche incapaci di curarsi. Dopo essersi scontrati contro le agenzie internazionali e aver bussato a tutte le porte sono stati messi su dei centri di cura con laboratori e tutto il necessario, allo stesso livello di eccellenza scientifico-sanitaria dei resto del mondo: il programma Dream appunto.
Dopo 25 anni di lavoro e impegno oggi c'è un nuovo allarme che nasce dal fenomeno delle resistenze ai farmaci. Attualmente uno degli strumenti più efficaci nella lotta contro l'Hiv è rappresentato dal Dolutegravir (Dtg), diventato la base di gran parte delle terapie a partire dal 2018. In molti paesi africani oltre l'83 per cento delle persone con l'Hiv è in terapia, anche se restano ancora milioni di pazienti non trattati. Specialisti e medici hanno tuttavia attirato l'attenzione sul fatto che il 14 per cento di chi accede al Dtg non raggiunge la soppressione virale (cioè una carica virale non più misurabile). Questo aumenta il rischio di resistenze, fenomeno aggravato dalla mancanza di test diagnostici avanzati e del monitoraggio regolare dei pazienti. In altre parole c'è il rischio, come 30 anni fa, di "semplificare" la cura per l'Aids in Africa tanto da renderla volatile, malgrado la presenza di un ottimo farmaco come il Dtg. Se viene somministrato senza adeguato monitoraggio, il rischio è di sprecarlo.
Controllare le resistenze
Controllare le resistenze serve infatti a evitare che crescano in maniera vertiginosa e si comunichino globalmente. Come all'inizio della pandemia di Aids, non curare bene in Africa crea un problema a tutti. Esistono ancora altre linee di farmaci molto valide, almeno sette. In Occidente vengono svolti i monitoraggi necessari per curare con farmaci ancora efficaci prima di ricorrere al Dtg, dopo il quale non c'è più nulla. Un modo di risparmiare armi per il domani, di "risparmiare le molecole" come si dice in gergo medico.
Questa prudente attenzione in Africa non esiste anche per carenza di lavoratori che possano monitorare l'utilizzo dei farmaci tracciando la carica virale. Parallelamertte, l'incremento delle malattie non trasmissibili (come l'ipertensione o il diabete) tra le persone che vivono con l'Hiv crea il cosiddetto "double burden of disease", che mette ulteriormente sotto pressione i sistemi sanitari.
La tendenza attuale, davanti alla malattia (soprattutto malattie come l'Aids che si devono curare tutta la vita), è quella di affidare al malato tutta la responsabilità. C'è una mentalità globale dominante che è quella dell'autotest, autodiagnosi e autocura, fomentata sia dall'innovazione tecnologica (Internet, Google o Intelligenza artificiale) ma anche dalla solitudine. Il malato è lasciato a sé stesso.
Si tratta di un risultato ottenuto grazie alla riduzione della mortalità (molte persone con l'Hiv vivono più a lungo grazie ai progressi terapeutici) ma comporta un aumento del carico finanziario e gestionale. Di conseguenza la cura dell'Aids sta cominciando a essere percepita come un peso dalle amministrazioni sanitarie.
Sant'Egidio è stata tra le pochissime organizzazioni a porre l'attenzione sull'Aids in Africa al volgere del Millennio, quando nessuno se ne occupava. Fu denunciata la tendenza dei paesi ricchi: a pensare che all'Africa bastasse dare poco considerando gli africani impossibilitati e anche incapaci di curarsi. Dopo essersi scontrati contro le agenzie internazionali e aver bussato a tutte le porte sono stati messi su dei centri di cura con laboratori e tutto il necessario, allo stesso livello di eccellenza scientifico-sanitaria dei resto del mondo: il programma Dream appunto.
Dopo 25 anni di lavoro e impegno oggi c'è un nuovo allarme che nasce dal fenomeno delle resistenze ai farmaci. Attualmente uno degli strumenti più efficaci nella lotta contro l'Hiv è rappresentato dal Dolutegravir (Dtg), diventato la base di gran parte delle terapie a partire dal 2018. In molti paesi africani oltre l'83 per cento delle persone con l'Hiv è in terapia, anche se restano ancora milioni di pazienti non trattati. Specialisti e medici hanno tuttavia attirato l'attenzione sul fatto che il 14 per cento di chi accede al Dtg non raggiunge la soppressione virale (cioè una carica virale non più misurabile). Questo aumenta il rischio di resistenze, fenomeno aggravato dalla mancanza di test diagnostici avanzati e del monitoraggio regolare dei pazienti. In altre parole c'è il rischio, come 30 anni fa, di "semplificare" la cura per l'Aids in Africa tanto da renderla volatile, malgrado la presenza di un ottimo farmaco come il Dtg. Se viene somministrato senza adeguato monitoraggio, il rischio è di sprecarlo.
Controllare le resistenze
Controllare le resistenze serve infatti a evitare che crescano in maniera vertiginosa e si comunichino globalmente. Come all'inizio della pandemia di Aids, non curare bene in Africa crea un problema a tutti. Esistono ancora altre linee di farmaci molto valide, almeno sette. In Occidente vengono svolti i monitoraggi necessari per curare con farmaci ancora efficaci prima di ricorrere al Dtg, dopo il quale non c'è più nulla. Un modo di risparmiare armi per il domani, di "risparmiare le molecole" come si dice in gergo medico.
Questa prudente attenzione in Africa non esiste anche per carenza di lavoratori che possano monitorare l'utilizzo dei farmaci tracciando la carica virale. Parallelamertte, l'incremento delle malattie non trasmissibili (come l'ipertensione o il diabete) tra le persone che vivono con l'Hiv crea il cosiddetto "double burden of disease", che mette ulteriormente sotto pressione i sistemi sanitari.
La tendenza attuale, davanti alla malattia (soprattutto malattie come l'Aids che si devono curare tutta la vita), è quella di affidare al malato tutta la responsabilità. C'è una mentalità globale dominante che è quella dell'autotest, autodiagnosi e autocura, fomentata sia dall'innovazione tecnologica (Internet, Google o Intelligenza artificiale) ma anche dalla solitudine. Il malato è lasciato a sé stesso.
Saggia gradualità
In Africa questo si sta generalizzando rapidamente, dove le struttura sono poche e costose per bilanci pubblici magri. il fatto di "semplificare la cura" ha dunque delle ragioni specifiche. Tuttavia tale facilità può rovesciarsi in una nuova potente crisi e il convegno ha messo in luce quanto sia importante reagire finché si è in tempo. Cosi come avviene per gli antibiotici, anche per il Dtg è necessario testare tutte le possibilità prima di arrivare all'ultima linea di difesa.
La giornata di lavori ha visto la partecipazione anche del ministro della Salute, Orazio Schillaci, che ha voluto dare la propria testimonianza del lavoro che in Italia si sta facendo: il nostro paese è certamente all'avanguardia nella cura dell'Aids e ora si pone alla guida di tale nuova battaglia, grazie anche ai dati scientifici emersi dal programma Dream.
Una saggia gradualità è necessaria per non trovarsi, come ha testimoniato di professor Carlo Federico Perno, privi di difese. Basti ricordare che nel parallelo esempio degli antibiotici, le resistenze sono molto cresciute e sono circa 14 anni che non vengono più scoperte nuove molecole antibiotiche, Com'è noto una buona sanità non è rappresentata solo da farmaci miracolosi ma anche da come si prendono e tutto lo stile di vita e di cura che c'è attorno al farmaco stesso, anzi meglio dire al malato inteso come persona.
Personalizzare le terapie può essere costoso e faticoso ma alla fine fa risparmiare e salva le vite. Il paradosso è che accettare modelli semplificati di cura per l'Africa diventi un modo di creare un nuovo "doppio standard" delle cure, tornando all'inizio della storia dell'Aids.
In Africa questo si sta generalizzando rapidamente, dove le struttura sono poche e costose per bilanci pubblici magri. il fatto di "semplificare la cura" ha dunque delle ragioni specifiche. Tuttavia tale facilità può rovesciarsi in una nuova potente crisi e il convegno ha messo in luce quanto sia importante reagire finché si è in tempo. Cosi come avviene per gli antibiotici, anche per il Dtg è necessario testare tutte le possibilità prima di arrivare all'ultima linea di difesa.
La giornata di lavori ha visto la partecipazione anche del ministro della Salute, Orazio Schillaci, che ha voluto dare la propria testimonianza del lavoro che in Italia si sta facendo: il nostro paese è certamente all'avanguardia nella cura dell'Aids e ora si pone alla guida di tale nuova battaglia, grazie anche ai dati scientifici emersi dal programma Dream.
Una saggia gradualità è necessaria per non trovarsi, come ha testimoniato di professor Carlo Federico Perno, privi di difese. Basti ricordare che nel parallelo esempio degli antibiotici, le resistenze sono molto cresciute e sono circa 14 anni che non vengono più scoperte nuove molecole antibiotiche, Com'è noto una buona sanità non è rappresentata solo da farmaci miracolosi ma anche da come si prendono e tutto lo stile di vita e di cura che c'è attorno al farmaco stesso, anzi meglio dire al malato inteso come persona.
Personalizzare le terapie può essere costoso e faticoso ma alla fine fa risparmiare e salva le vite. Il paradosso è che accettare modelli semplificati di cura per l'Africa diventi un modo di creare un nuovo "doppio standard" delle cure, tornando all'inizio della storia dell'Aids.
[ Mario Giro ]